Il Sublime dipinto a ritmo di swing
A conoscerlo bene, Danilo Maestosi è un uomo positivamente complesso, simile ad un vulcano che in apparenza giace tranquillo e poi all'improvviso esplode in un'irrefrenabile eruzione per sprigionare la propria ricchissima energia interiore o il proprio dissenso. Curioso di ogni aspetto della vita, della cultura e delle civiltà, lo incontri mentre cerca di andare sempre dritto al cuore delle cose, sia quando scrive che quando dipinge. Ama la profondità, Danilo, gli abissi più intimi che non tollerano la banalità, la retorica, l'intrattenimento spettacolare, cioè purtroppo i canoni oggi dominanti. E la sua discesa nel profondo va pure controcorrente, con tutte le difficoltà del caso, così che spesso Danilo sente di essere fuori posto, suo malgrado, tanto da scomparire in un battibaleno con tutto il carico delle proprie inquietudini, magari immergendosi in un viaggio purificatore che gli svelerà chissà quali segreti e memorie lontane.
In particolare da più di tre anni, come è ben evidente in questa mostra, Maestosi sta dando vita ad opere francamente sorprendenti, cariche di rivelazioni e di intuizioni che prendono avvio da una mirabile empatia con la musica, di cui Danilo è un notevole esperto ma soprattutto un sensibile amatore. E così Maestosi ha creato un proprio swing pittorico, in cui la spontaneità dell'espressione e l'esplosione di energia pura si compongono in un flusso ritmico strutturato ma sempre emozionante. Ad esempio la sua pittura sembra miracolosamente animata dal linguaggio del corpo, dalla sensualità, dalla gestione dell'inatteso e dal ritmo non programmato del jazz: basta pensare alla sua passione per Miles Davis, per quello "stile" interiorizzato che si distingue anche per il pudore e il riserbo nell'espressione, proprio come accade nelle opere di Danilo. Eppure per Maestosi tutta la musica è compresente e contemporanea, si intreccia, affiora da inimmaginabili lontananze, abolisce le barriere fra passato e presente, fra alto e basso, proprio come la memoria. Così nel flusso metamorfico ed elastico che percorre le sue tele animate dai colori delle emozioni pare di avvertire anche gli echi delle riflessioni epocali e rivelatrici di uno dei filosofi più decisivi in assoluto, Henri Bergson, che esaminando il proprio io interiore trovava "un flusso continuo, una successione di stati, ciascuno dei quali preannuncia quello che segue e contiene quello che lo precede". E così egli chiamó "durata" ("duréè") la vera natura della nostra esistenza nel tempo. Per Bergson il vero obiettivo del filosofo era quello di vedere "il mondo materiale fondere, trasformandosi in un unico flusso, una continuità del fluire, un divenire". Del resto queste intuizioni illuminarono anche l'abissale pittura di Umberto Boccioni e certo quella corrente d'energia che percorre due suoi capolavori come le due versioni (CIMAC, Milano e Moma, New York) degli Stati d'animo: quelli che vanno (1911) deve aver colpito anche Maestosi.
Peró, al di là di questi riferimenti, dalle sue opere promana con forza un'accigliata inquietudine tutta contemporanea che ci invita a riscoprire e ad immergersi nelle nostre emozioni più sincere e profonde. E a capire che c'è sempre qualcosa di più grande e di sublime cui tendere. Opere come Beethoven, l'eroica con quel vorticoso flusso di un rosso luciferino o Rossini, la gazza ladra con quel turbine autunnale o, ancora, il giallo abbagliante di Vivaldi, concerto per mandolino, l'onda irrefrenabile di Fabrizio De André, la Domenica delle Salme hanno veramente la rara capacità di scatenare emozioni e di portarci tramite un colore musicale in dimensioni lontane dalla quotidianità e vicine alla nostra natura più intima, quella che oggi abbiamo invece trasformato in una "stucchevole estranea", per dirla con Kavafis.
Gabriele Simongini