L'era glaciale: innesti
Bianco. Un colore di gestazione. L'infinito che ti respinge e ti accoglie. Il colore dell'era glaciale lo chiamava Kandinsky, padre fondatore dell'arte astratta. Un prima remoto come una fabbrica dismessa della creazione, che fa da incubatrice alla forma, al segno e a ogni altro colore. Archeologia dunque: una storia da scavare e ritrovarsi dentro. O da costruire ad innesti, come i botanici che ricavano nuovi sapori e nuovi frutti o riportano a galla essenze ormai estinte incrociando specie vegetali attraverso sovrapposizioni, incisioni e ferite. Fare arte oggi non è molto diverso. La pittura come grido di stupore e silenzio. Vita che spunta sotto una coltre di ghiaccio.
Maneggiamola con cautela: è molto fragile.
Danilo Maestosi
La Pinacoteca provinciale prosegue la sua stagione di eventi di arte contemporanea in dialogo con il passato con la personale di Danilo Maestosi "L'era glaciale. Innesti", a cura di Alfio Borghese ed Erminia Pellecchia (dal 14 novembre all'8 dicembre, vernissage il 14 novembre alle ore 18). Organizzata dall'associazione "Amici dei Musei", presieduta da Vincenzo Monda, è stata realizzata con il patrocinio della Provincia di Salerno-Assessorato ai beni culturali e al patrimonio e la disponibilità della direzione dei musei e biblioteche provinciali.
Venticinque dipinti recenti, sulla scia della mostra presentata la scorsa estate al Palazzo delle Arti di Frosinone e in anteprima all'allestimento previsto al Vittoriano di Roma la prossima primavera: Maestosi lavora sul bianco, un colore - spiega l'artista romano - di gestazione, il colore dell'era glaciale lo chiamava Kandinsky, padre fondatore dell'arte contemporanea". "Altre possibili coltivazioni, creare un ponte tra ciò che esiste e ciò che ancora non esiste attraverso l'innesto, perché diventi invisibile la linea di cesura", sottolineano Borghese e Pellecchia nel testo, "Il giardino dell'utopia" che accompagna l'esposizione salernitana. Il pittore si interroga sul presente, "su questo infinito deserto di un tempo senza luogo e di una desolazione senza poi", scavando nel passato, quasi archeologo dell'anima, e portandolo alla luce per innestare le possibili, autentiche direttrici del divenire. "Quasi volesse ricordare le nostre origini contadine, la possibilità di trasformare la pianta, di restituire vita al tronco morente - osservano ancora i curatori della mostra - Maestosi, nell'oscillazione ariosa di geometria e astrazione lirica, in quei segni e colori che si sviluppano in continua metamorfosi, sembra consegnare e restituire allo spettatore-attore una speranza per il futuro". I botanici, ricorda l'artista, "ricavano nuovi sapori e nuovi frutti o riportano a galla essenze ormai estinte incrociando specie vegetali attraverso sovrapposizioni, incisioni e ferite. Fare arte oggi non è molto diverso. La pittura come grido di stupore e silenzio. Vita che spunta sotto una coltre di ghiaccio. Maneggiamola con cautela: è molto fragile".
Il giorno dell'utopia
Altre possibili "coltivazioni", creare un ponte tra ciò che esiste e ciò che non esiste ancora attraverso l'innesto, perché diventi invisibile la linea di cesura. Danilo Maestosi, nel suo recente progetto "Innesti", utilizza, come metafora artistica, la pratica dell'"archeologia arborea", ovvero la conservazione di una specie antica attraverso l'impianto di virgulti per preservarla, rinvigorita, dall'estinzione. La diversità nella continuità. La pianta originaria è quella dei valori etico-politico-sociali da non disperdere e da rinnovare, il ceppo giovane è la speranza della rinascita: due temi, questi, cari al pittore romano che da sempre fa dell'arte campo dell'impegno. Così, sulla scia e in prosecuzione del suo ultimo lavoro, "L'era glaciale" , Maestosi si interroga sul presente, su questo infinito deserto di un tempo senza luogo e di una desolazione senza poi, scavando nel passato, quasi archeologo dell'anima, e portandolo in luce per "innestare" le possibili, autentiche direttrici del divenire.
La tavola bianca, sorta di "grado zero", è come un giardino dell'utopia dove l'artista ritrova l'essenza vitale della storia e ne osserva il generarsi e il trasformarsi in una complessità e varietà di forme. Nello scenario fluido dei colori e dei segni, nel volo libero di rossi, rosa, viola, verdi e azzurri luminosi , tracce d'arancio e nel solco dei neri e dei bruciati, la materia è in movimento continuo, pronta a fondersi nella sintesi del nuovo e a riesplodere in relazioni plurime, per forgiare mondi altri e cogliere segnali e prospettive per il futuro. Privo d'identità, il destino dell'uomo-avatar del terzo millennio è un'angosciata discesa agli abissi, sembra dire Maestosi nell'incipit del suo indagare sulla società contemporanea che prende corpo nell'emozionante profondità dei verdi plumbei di "Aspettando la notte", un dipinto quasi ispirato al film omonimo di Keith Mcnally o alle suggestioni dark degli Egoplastica: "Non sento più niente, aspetto la notte che venga a trovarmi per volare, andare via, per toccare l'orizzonte...".
Ma se - citando alcuni titoli della produzione 2013 dell'artista - "La terra ci sovrasta", si può e si deve "Imparare a volare", disegnando "Traiettorie" felici per "L'uomo che verrà". "Io sono antico e moderno", diceva un mio amico contadino della Costiera amalfitana, vero e proprio maestro di innesti. Anche Maestosi è un "agri-cultore" che salda, con pennelli e spatole, le radici della storia con gli orizzonti convulsi del post, cercando di tracciare un sentiero stabile in grado di offrire nuove risposte e nuove risoluzioni.
Erminia Pellecchia
Strati di colore su colore
Ho conosciuto Danilo Maestosi [nato a Roma nel 1944) negli anni novanta, quando come critico d'arte scriveva per il Messaggero dì Roma, (lo fa ancora). Mi invitò a visitare la sua cantina dove depositava strati di colore su colore, e già allora aveva la sicurezza che un quadro non può essere composto senza seguire i ritmi della musica. Diceva di voler rompere ì giochi, di recuperare attraverso la musica la memoria personale e collettiva, di stendere il colore sulla tela come se fosse un corpo su un tavolo di anatomìa, con gli organi squartati bene in vista, per superare lo sconcerto di un momento in cui la memoria viene dimenticata per realizzarsi soltanto nell'attimo che stiamo vivendo. Idee che sì concretizzeranno nella grande mostra del 2010, "Concerto Sconcerto" al Vittoriano di Roma, dopo "Lunario" del 2004 e "le Mille e una Seta" del 2006, sempre al Vittoriano, e "La Musica sotto la Pelle" (2008 e 2009) seguita da "In Concerto" nel 2009. Un omaggio a Beethoven, le dissonanze del Requiem di Mozart, la musica di Bela Bartok, ma anche Sergio Endrigo e De André sono gli ingredienti delle sue opere in cui il lirismo astratto vive di gialli acuti e blu profondi e la musica si impasta con i colori. Ma un quadro smette di appartenerti non appena la firma con cui ne segni la conclusione - scrìve Maestosi - lo allontana tra le cose già fatte e lo mette in qualche modo al riparo: non c'è oper3 che, a rivederla, non rischi la distruzione o l'abiura - aggiunge Maestosi.
Abuso imperdonabile perché quei colori, quelle figure, quei segni, sono viaggiatori senza padrone consegnati al disprezzo o al piacere di chi li guarda, e nel guardarli aggiunge respiro, fantasia, emozione. Come personaggi in cerca di autore. Ecco, una dichiarazione che mette a nudo il personaggio Maestosi, le sue insicurezze, la sua modestia, la sua grande capacità di confrontarsi con il mondo attuale.
E lo fa lavorando per cicli tematici, tra cui attualissimo quello intitolato "Migrazioni" nel quale utilizzando un cromatismo primario affronta il tema dell'immigrazione e dell'emigrazione che - afferma Maestosi- "è linfa del nostro sangue. Siamo tutti figli di emigranti". Il ciclo è andato in mostra alla Ca' D'oro di Roma che ospitò De Chirico eGuttusoei più grandi artisti italiani. Poi, con Alexander Jakhnagiev ha realizzato la mostra "Parabole" al Macro di Roma che è stata esposta in varie città egiziane e, nel 2012 in Israele al museo di Ramat Can. Maestosi ha preso parte ad una quarantina di collettive. Adesso, a Frosinone, presenta un nuovo ciclo pittorico intitolato "L'era Glaciale", la cui puntata d'avvio e stata esposta nel 2012, a Palazzo Sasso di Ravello. Ma, in particolare, i suoi quadri sono dedicati all'Innesto, quasi che l'artista voglia ricordare le nostre origini contadine, la possibilità di trasformare la pianta, di restituire vita e colore al tronco morente per ridare a noi, attraverso un turbinio di verdi, di rossi e di azzurri, una speranza per il futuro.
Alfio Borghese / Curatore della Mostra
Il lirismo astratto di Maestosi
Un giornalista attento e consapevole, ma anche un pittore celebre per il suo lirismo astratto. Danilo Maestosi aggiunge il suo colore alla rassegna d'Arte Visiva Contemporanea alla Villa Comunale, portando tutta la sua cultura e l'esperienza di un grande artista romano.
La Capitale, con la recente mostra dì Benaglia, quella ai primi di luglio di Carlo Roselli e poco dopo con Sergio Raffo, è ben presente con i suoi figli migliori, consentendoci un confronto positivo con gli artisti della Ciociaria e la possibilità di un'attenta osservazione da parte del pubblico appassionato della cultura e dell'arte di Frosinone. Un benvenuto, dunque, a Maestosi, con i suoi innesti che fanno rivivere antiche e sempre attuali esperienze della nostra vita.
Giampiero Fabrizi / Assessore comunale alla Cultura