Come cinquecento anni fa quando Raffaello e i suoi allievi penetrarono nelle aule sprofondate della Domus Aurea, scoprendo al lume delle torce il popolo di ninfe, sfingi, vittorie alate, giganti, chimere che Nerone aveva fatto affrescare sui muri della sua reggia. Grottesche: il nome che diedero al loro stupore e a quel pantheon remoto riemerso dalle tenebre del tempo. Un panorama che cominciarono a riprodurre, come capriccio d'arredo, nei palazzi dei loro mecenati. Chissà, forse un giorno capiterà lo stesso ai graffiti lasciati sui muri, al cifrario di segni, invettive e invenzioni impresso sui vagoni del metro, sulle fiancate dei bus, sulle serrande dei negozi. Un bizzarro repertorio di icone, una tavolozza perduta di colori spray che potrebbero partorire nuove vibrazioni, visioni, memorie, profezie. Sospese tra passato e futuro nelle metropoli della fantasia.
Danilo Maestosi
Cosa mostrano, oltre la pittura, il colore di un quadro, le linee che invocano la cattura di un personaggio, le parole seppellite nella luce dipinta?
Le grottesche sono elementi decorativi, vogliono impaurire e piacciono, chiedono di piacere e suggeriscono un senso di ilare ansia, figure che somigliano ai sogni, al fumo leggero, al vento quando gonfia una tenda, a un lenzuolo che produce forme imprecise di volti, profili seducenti, draghi inferi che volano nel profondo della te I lavori che Danilo Maestosi presenta hanno proprio questo titolo, Grottesche, che vuole essere didattico, e dare indicazioni di poetica. Il suo, infatti, è un realismo magico, ha la consistenza della surreale nominazione che il desiderio dà alle cose quando non le dimentichiamo più. Guardando con attenzione un quadro di Maestosi ci accorgiamo come le figure (debitamente deformate, e rese lontane e seduttive) non abbiano un rapporto definitivo con alcuna superficie, e con lo sfondo. Non sono legate a coordinate spaziali riconoscibili, l'alto e il basso, la destra e la sinistra. Il realismo magico, proprio della sua pittura, le ha rese imprendibili, dislocando lo spettatore, allontanandolo dalla consueta frontalità.
Una pittura che vuol produrre piacere e si piega a un impegno che puó sembrare minimo (ma è la fuga da un disperato richiamo) accettando un confine stretto, quello dell'ornamento, della lateralità asimmetrica da cui ritagliarsi un luogo prospettico dolcemente obliquo che escluda dal dolore del confronto. Apollinaire scrisse nel 1918 (il suo ultimo anno) un prezioso libro di versi intitolato Calligrammes. Cosa sono i calligrammi? Versi in cui le parole (e i grafemi che le formano) sono disposte in modo da formare i confini di un disegno, la curva di una linea, il vibrare della luce di un corpo, della sua ombra. L'immagine di un leone sottomesso da una donna, che corra affannato sul mare. Ecco, mi sembra che i quadri di Danilo Maestosi trattengano questa doppia superficie, la prima di carattere letterario, ed è il livello più profondo, la seconda è la stesura pittorica che di quel racconto si fa maschera e scena.
Rino Mele