L'era glaciale
Era glaciale. Un po' è l'eco giocosa da cinefilo di un fortunato ciclo di pupazzi animati. Molto invece l'idea di battezzare con
questo titolo un'epoca fuori del tempo, nella quale iscrivera una sorta di grado zero, stadio di trapasso, della vita, della forma, del colore, del segno. Un limbo di gestazione, del tutto arbitrario, in cui simulare un rito di genesi e separazione degli elementi che fanno da bussola al mio immergermi nel caos, mi scuotono l'anima: l'aria, l'acqua, il fuoco, la terra. E poi nell'alternarsi di gelo e disgelo mettere in scena la voglia e la speranza di cambiamento, i confini e gli slittamenti ambigui tra organico e inorganico, tra la pietra e la carne, tra l'esistenza e la morte, tutti i possibili viaggi sospesi tra l'estasi e la paura, tra sapori e colori.
Danilo Maestosi
Il mondo che verrà
La stagione fredda. Per gli scienziati è l'era glaciale che arriva improvvisamente e altrettanto improvvisamente se ne va, lasciando dietro di sé una scia di morte e distruzione e cedendo il passo a un'era interglaciale, un'era di transizione, quella in cui ci troviamo e che sarebbe agli sgoccioli. Il sapore amaro di un incubo, il riflesso di una condizione climatica che diviene esistenziale. La stagione fredda è quella dell'anima, della perdita di valori e sentimenti, di un tempo ibernato in un contesto superaccessoriato, dove si smette di percepire il futuro e si è esposti inevitabilmente alla tirannia della mediocrità. Un'ubriacatura di sogni sbagliati, un inquinamento mentale che va al pari passo con quello terrestre. La stagione fredda è il cinismo, l'ha profetizzato con lucida chiarezza David Foster Wallace in quel libro cult che è Infinite Jest. Belli e potenti a tutti i costi. Brancoliamo nel buio, affrancati dal peccato e dai sensi di colpa, la nostra vergogna è solo il fallimento. Gli dei sono traslocati e la loro nuova incarnazione è l'economia. Impersonale, senza spazi di manovra, implacabile per conviverci, per coglierne il senso e sfidarla. E allora ecco il limbo, questo tempo fermo dove, nella confusione e nel caos, la felicità-infelicità è ora, tutto e subito. Grado zero. Danilo Maestosi lo racconta con il privilegio che ha del dono della pittura. Più intensa di ogni parola, più efficace di qualsiasi trattato filosofico. Scrive con il colore la sua Apocalisse dove nel gelo del bianco che incombe sulla tavola i segni morbidamente incisi e le forme cromatiche lievemente accennate si fanno rivelazione del mondo che verrà. L'artista romano volge lo sguardo là dove siamo davvero - "un limbo di gestazione, uno stadio del trapasso" , spiega - verso il cielo in attesa del prossimo fiocco di neve. In un "presente a caduta libera", come cantano i Subsonica, creato dalla disgregazione del post che sostituisce l'essere, il pensare ed il fare, lui chiama un timeout che ci impedisca di andare alla deriva. La fisicità del colore, la tensione compositiva, la stratificazione della materia, le tormentate geometrie astratte, il movimento ascendente e circolare dei corpi e delle forme sono la trascrizione emotiva con cui Maestosi esprime le sue inquietudini, la voglia e la speranza di un mondo nuovo in cui la memoria è ragione di cambiamento. La sua pittura di luce supera lo sbarramento drammatico del bianco, quell'ombra di catastrofe annunciata che è, comunque, sempre presente, come un ammonimento, nei suoi dipinti. L'astrazione si sublima in Genesi, l'io-dio che modella l'inorganico in organico e viceversa. Ed ecco che, citando i titoli di alcune opere presenti in mostra, dal Cuore duro della terra poi Riemerge il colore e dai Fiori di ghiaccio o da Una costola di coccodrillo nasce Tutti figli di Lucy, Lucy-Eva, madre di tutte le madri, madre del caleidoscopico mosaico delle diversità. La vita che fluisce nell'"alternarsi di gelo e disgelo": un viaggio infinito tra la paura di un pianeta che muore e noi con lui nella nostra effimera, ossessiva, fragile sicurezza di eternità e il meccanismo meraviglioso, insondabile, inarrestabile della rinascita nel mutamento.
Erminia Pellecchia