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13 DICEMBRE 2011 - 10 GENNAIO 2012. Galleria Archè, Via del Pellegrino 59, Roma
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Pittura del vissuto, pittura viva
Danilo Maestosi ritorna su un tema in parte già affrontato, ma questa volta lo guarda da un diverso punto di vista, interrogandosi sul fenomeno della migrazione degli animali e sui misteriosi processi che lo governano e, nel contempo, esplorando le potenzialità creative che il contatto tra culture differenti determina là dove la dimensione dell'apertura domina sul pregiudizio. Migrazione dunque come realtà fisica e come realtà culturale.
Se la natura detta regole, cui non ci si può sottrarre, allora vivere implica migrare da un luogo a un altro, seguendo un istinto che conduce a una meta ben precisa. Quella e non un'altra. Ecco, Maestosi si pone "dentro" questo viaggio, perché la migrazione è un viaggio. Un viaggio verso l'ignoto e attraverso l'ignoto.
E, allo stesso modo, se il processo creativo è, per certi aspetti, un andare verso l'ignoto, allora l'artista è, di fatto, un "migrante". La non stanzialità, la non assolutezza e, di contro, lo spaesamento, il relativismo che connotano la condizione esistenziale contemporanea, collocano in primo piano l'urgenza di rifondare il concetto d'identità su nuovi parametri, dove l'identità non è più qualcosa a sé, ma è invece da ridefinire nella relazione, nel rapporto con l'altro. L'artista, in tal senso, nel suo spostarsi dentro e fuori di sé, nella sua tensione verso un quid cui dare corpo sulla tela, rispondendo a una necessità interna, mette in atto un processo dove parti di sé saranno depositate in un altrove: l'opera.
Guardare i dipinti di Maestosi ponendosi in un atteggiamento di ascolto, più che nella sola visione dei soggetti raffigurati o cui si allude, consente di recuperare quanto accade nello spazio-luogo della tela. La sua pittura è, infatti, una pittura del vissuto, dove il valore esperienziale della vita è forte. Nel sovrapporsi, nello scontrarsi dei segni e delle materie cromatiche si avverte il flusso di suoni, di colori, di sapori, di odori incontrati, di cui la memoria conserva traccia e che ritrovano oggi presenza fisica, tangibile pur nella loro inafferrabilità.
In quello spazio-tempo l'immagine appare, afferrata e sottratta al ricordo, alla storia, ma senza interromperne il continuum che quei solchi sulla tela sembrano rappresentare. E in questo riaffiorare, si tessono curiose trame, le culture s'intrecciano e, percorrendo vie misteriose, le peculiarità dell'una si legano con quelle dell'altra, scoprendo nuove risorse e nuovi stimoli verso altre direzioni.
Maestosi cattura, restituisce per necessità. E nel suo migrare verso l'immagine intesa come luogo di relazioni, come incontro tra differenti possibilità di essere, nasce l'opera.
Maestosi è un artista "non radicato". Condizione che lo apre al nuovo, all'accoglimento del diverso che consente alla sua pittura di essere pittura del vissuto, pittura viva.
Ida Mitrano
Nei colori filamentosi si nasconde la metamorfosi del tempo
Il viaggio come paradigma simbolico di conoscenza e l'Oriente, un varco attraverso cui guardare il mondo, sono i punti centrali della pittura di Danilo Maestosi.
Un aedo contemporaneo, un cantore pittorico di viaggi e memorie storiche nell'intreccio di catrame e acrilici filamentosi, in contrasto, dentro al vortice del tempo che raccoglie e racconta: passaggi, odori, storie, spiagge, luci e ombre.
Tumultuose e fitte velature cromatiche, «in balenanti intervalli di luce e tenebra», concedono, talvolta, spazio al candore del bianco e alla luminosità del giallo-oro.
"Son tornate le rondini", "La rotta delle tartarughe", "L'arte della calligrafia" sono solo alcuni esempi, nei quali la visione del tempo è il nucleo tematico di una tessitura di colori, nel loro essere movimento e metamorfosi, includendo perfino la grafia stessa.
Colori accesi, vigorosi e dinamici, dai quali viene fuori una forma di nostalgia e si ha la sensazione di percepire ombre di memoria dentro a un instabile moto di striature che concedono, al contempo, profonde riflessioni sulla caducità e mutevolezza del tempo.
Per riuscire a far cogliere la profonda entità della matericità filamentosa della pittura di Maestosi, con un salto pindarico, mi piace ripensare alle parole di Montaigne, «io non descrivo l'essere, descrivo il passaggio», nel presentare queste tavole di legno, metaforicamente, "telai", sulle quali si intrecciano i fili del tempo nella illusoria immobilità del presente.
Nilla Zaira D'Urso
Quale richiamo misterioso spinge le tartarughe a scegliere proprio quella striscia di costa del deserto peruviano,non certo la più accogliente, non certo la più sicura, come nido per deporre le loro uova? Perchè le rondini devono percorrere ogni anno così lunghi viaggi per rinnovare il loro annuncio di primavera?E perchè le balene vengono a partorire proprio in quell'estremo lembo d'Africa, dove al largo incrociano le navi giapponesi che danno loro la caccia? Anche la Natura come la Storia gioca a dadi col destino delle creature migranti. Le illude di libertà poi le trasloca in nuove gabbie, come pesci d'acquario, come fossili d'alta montagna, che ci ricordano quanto labili siano i confini tra organico e inorganico.Impalpabili come il vortice che può trasformare in catastrofe il battito d'ali d'una farfalla. La stessa trama di fili invisibili, lo stesso ricamo di scritture da decifrare che ritrovi nel travaso di sapori con cui spesso il trapianto dei popoli, delle merci e delle diversità camuffa e compensa i suoi drammi. Nel gusto amaro della nostalgia che governa e popola di fantasmi e colori il mettere e il perdere radici. Prove di pittura che danno respiro leggero a questa mostra.
Danilo Maestosi
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LA ROTTA DELLE TARTARUGHE
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